Padre e figlio

Sergio e Mario Albano alle Basse di Stura (TO) nei primi anni '50

In uno scritto ritrovato, il M. Sergio Albano ricorda il padre Mario in forma di sceneggiatura. Non si sa se il Nostro abbia vergato tale appunto in previsione di girare un cortometraggio con attori in carne ed ossa, o con l'intento di inserirlo in una qualche pubblicazione. Una cosa è certa: se fosse un film avrebbe uno stile à la Tarkovskij, à la Sokurov. Se fosse stato regista, avrebbe seguito una poetica dall'anima austera e profonda; Albano aveva un'idea di cinema giocata sull'alternanza di luci e ombre, cadenzata da equilibrati ritmi elegiaci, come sogno misto a realtà. Occore dire però che il destino di un artista privilegia una forma ben precisa, e le opere non realizzate non esistono. Digressioni a parte, il testo che vi presentiamo è di inestimabile importanza, perché fa parte di quel materiale di vita da cui un artista maturo e autentico attinge mentre crea. Fa parte del proprio Sancta Sanctorum, fra gli "ingredienti" principali della vera passione che l'artista rielabora e interpreta all'infinito, un po' come fa l'ostrica con la perla.
La vita di Sergio Albano è stata costantemente permeata dall'aura della creazione, che spesso emergeva con una certa urgenza, quasi si trattasse dell'estrazione di un dente. L'artista agisce guidato da quelle determinate pulsioni che premono sotto la superficie in modo insostenibile; egli in fondo crea sulla base di come ha conservato ciò che ha vissuto.

Padre e figlio

(voce fuori campo)

Ricordo molto bene tutto, quando si andava laggiù alla Basse di Stura con mio padre a vedere il torrente, le montagne, la pianura. Partendo da casa, attraversavamo la periferia cittadina per poi raggiungere la campagna che si apriva ai nostri occhi. Di là, dall'alto, dominavamo quella pianura e la catena delle montagne.. poi piano piano scendevamo..

Entrano in scena padre e figlio, lui indossa un cappello e un vestito semplice,
il bambino è vestito come negli anni '50

- Padre: Non correre, và piano che cadi..
- Figlio: Ti aspetto sotto Papà, davanti alla cascina!

(voce fuori campo)

La strada diritta e bianca sotto il sole divideva in due la pianura e ci portava tra orti e coltivi, pascoli e gerbidi e sulla riva del fiume che udivamo scrosciare già da lontano. La meraviglia, lo stupore era sempre lo stesso ogni volta. Insieme ci trovavamo là a guardare.

-Padre: guarda che bello, che pace..
-Figlio: Papà, ci sono i pesci nel fiume?
-Padre: certamente. Lucci, tinche, barbi..c'è di tutto..

(voce fuori campo)

L'acqua allora era pulita e ci potevamo bagnare e giocare a rimpiattino.

-Figlio: ne ho fatti cinque. Prova tu adesso..
-Padre: (fa finta di tirare la pietra) Sei..
-Figlio: e già, tu hai le braccia più lunghe..

(voce fuori campo)

Spesso veniva anche mia sorella e insieme facevamo lunghe corse per le rive. Ci bagnavamo le gambe nell'acqua, raccoglievamo i fiori. A giugno i papaveri erano meravigliosi, ne facevamo dei grandi mazzi che portavamo alla mamma con i fiordalisi e le margherite.
C'era un rudere d'un ponte Romano che si specchiava nell'acqua. Al tramonto arrivavano le mucche ad abbeverarsi. Lo specchio d'acqua rifletteva i bagliori del cielo al tramonto dove si rincorrevano le nubi.

-Figlio: Papà guarda quella nuvola sembra un pellerossa.. e quella un coccodrillo
-Padre: Sì, guarda sembra un alpino
-Figlio: No è un pellerossa..sta cambiando..adesso è un orso..un cane..
-Padre:Guarda, c'è un aereo.
(voce fuori campo)

Si guardava dall'altra parte del fiume, dove avremmo voluto essere. Di là provenivano grida di bambini, un fumo si levava da qualche camino, un cacciatore con il suo cane si profilava all'orizzonte. E lentamente, lentamente il cielo si oscurava e le prime stelle lo puntellavano qua e là.
Molto tempo è passato, io sono cresciuto, ma in fondo non è cambiato molto: l'aspetto esteriore delle cose è mutato, questo sì. Però io sono sempre quello di allora, con le mie paure, gli stupori e gli entusiasmi. Ripercorrere le strade di un tempo mi piace sempre, ogni volta mi sembra di poter aggiungere qualche cosa di nuovo ai miei ricordi.
Un sentiero lo percorsi per la prima volta e scoprii un universo di cose, il suo disegno che si snoda sul terreno come una lunghissima biscia, come un cordone ombelicale che ti porta al grembo materno (o all'essenza del tutto) o al mondo esterno, a seconda (se parti da te come figlio) da quale capo si parte. I prati con i loro fiori, la frescura estiva, le zolle umide di pioggia o pietrificate dal gelo. Gli stessi campi, quando è nevicato, non li riconosci più sotto il mantello bianco appena increspato dal vento.
Sergio Albano

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