Valentina - olio su tavola - cm 60 x 50 executed in 1986 |
Una casa rosa, di oggi, eretta coi mattoni del non tempo, s'impone con linee nette al centro del quadro. E' sorella delle costruzioni fantastiche che sorreggono l'Allegoria de Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, delle dimore senesi tutte spigoli e incastri, dei casali solitari che raccordano le geometrie della campagna toscana. Da quel serbatoio di rigore e purezza inestinguibili, Sergio Albano continua ad attingere ispirazione per la sua straordinaria pittura. E' un luogo mentale in cui sa di trovare costanti inviti a procedere, e sostegno dei momenti di ricerca difficili. Nei territori percorsi da Giotto, Taddeo Gaddi, Simone Martini, sono ancor molti i segnali che indicano il cammino, solide le barriere opposte all'improvvisazione e ben tracciate le strade della coerenza, lungo le quali, attraverso i secoli e senza confini, sono sorte le architetture eterne di Piero della Francesca, Giovanni Bellini, Andrea Mantegna. Lì è bene sostare, rifugiarsi dentro sé, cercare l'essenza. E' un'abitudine che Sergio Albano coltiva dalla giovinezza, quando a quindici anni si perdeva in interminabili esercizi di perfezione formale, rincorrendo la pulizia dell'immagine, l'equilibrio e l'armonia.
Vissuto in una famiglia di pittori, Mario Albano il padre, Carlo Musso lo zio, e la sorella Alba, dotata come lui di grande talento, il suo è il racconto di una vita dedicata all'arte e ad una sperimentazione appassionata "Andavo con mio padre in collina o alla Basse di Stura a dipingere dal vero. Ognuno con il proprio cavalletto, a cogliere i segreti dei campi, dell'acqua, delle nuvole. Lui amava la pittura dell'Ottocento, gli spazi di Fontanesi, la luce filtrata dei suoi cieli. Frequentavamo le mostre, discutevamo di Verismo che io apprezzavo, ma sentivo distante. Finché un giorno decisi di tagliuzzare la realtà e ricomporla in collages per dar respiro alla fantasia. E' in quel momento che i sentieri della nostra ricerca di dividono, benché io non abbia mai rinunciato al mio bagaglio affettivo, al ricordo delle nostre passeggiate silenziose e ricche. Me lo sono portato appresso in viaggio per le Fiandre, alla scoperta degli sfondi necessari all'immaginazione dilatata di Bruegel, né io l'ho abbandonato quando, al ritorno, ho preso a girovagare nei paesi della provincia torinese con spirito fiammingo e crescente bisogno di nitore di colore e delle forme, la mia ossessione".
La casa rosa non è ancora terminata, e chissà quando mai lo sarà. C'è un dettaglio che lo disturba, una curva impercettibile che per ora non è riuscito ad eliminare. Stremato da una tecnica che gli prosciuga l'anima, ha dovuto smettere, per non impazzire. Solo quando tutti gli elementi del quadro saranno in perfetto equilibrio, potrà dire che gli apparterranno, che avrà sottratto alberi, muri, pietre al luogo in cui li ha visti, ormai taglienti come lame spagnole, eppur vivi, vibranti, integri nella loro profonda natura.Tutto è diamante da sfaccettare, perché brilli e faccia cantare l'aria. Lo è un campo di grano d'estate, squadrato dall'uomo e dal vento, lo è l'abito del contadino tra le spighe, luminoso quanto quello dei mercanti dell'Angelico nel trittico di Perugia, lo sono le rocce trasformate in giganteschi cristalli, e le cabine sulla spiaggia, ricavate in luccicanti cubi di sabbia.
Eppure c'è stato un momento in cui Sergio Albano non escludeva le forme sinuose, dipingeva tracce nei boschi di faggi immaginati a volo d'uccello e cataste di legno nodoso e secco davanti ad eremi antichi. Qualcosa dev'esser accaduto, perché lui abbia scelto di inquadrare la realtà attraverso un intreccio meticoloso e complesso di griglie rettilinee. Una visione nuova, da un angolo diverso. "Credo che il cambiamento abbia avuto inizio nel 1969. Quell'anno, dal vecchio alloggio di via Urbino, dove ero sempre vissuto con la mia famiglia, il cane, il gatto, in un ambiente ovattato e morbido di abitudini, fiori e piante, traslocai al decimo piano di un palazzo di via Guido Reni, accando a una centrale elettrica. La periferia mi rivelò le sue linee dure, i lunghi corsi da poco tracciati, l'angosciosa teoria di balconi e finestre a scacchiera. Per resistere capii che dovevo individuarne la bellezza e trovare eventuali corrispondenze con gli spigoli che so ancora di avere dentro, nonostante tenti di essere armonioso. Sempre più la mia pittura è diventata gioco di poligoni, pentagoni che mi danno un senso di chiusura, di completezza, triangoli come segni del bisogno di dividere, spaccare, entrare nelle cose. Tra l'altro mi piace molto tagliare la carta, l'insalata".
Con Carla Bronzino, anche lei pittrice, prima sua allieva e poi sua moglie, ridiamo di questa improvvisa capacità di riportarci al tavolo a cui siamo seduti, nella sala di una villa settecentesca sopravvissuta al cemento di Grugliasco, e a farci desiderare un piatto di cicoria raccolta nell'orto. Lei si è da tempo abituata ad un marito conteso da istinto e ragione, in continua tensione con le figure dei suoi quadri, spesso in fuga oltre la scena come i frati del Carpaccio, in San Giorgio degli Schiavoni. Perennemente attratto dalla purezza delle architetture quattrocentesche e dalle folli soluzioni del Barocco, che per anni ha studiato e disegnato, ne ricerca la sintesi in costruzioni austere e complesse, levigate dalla luce metallica che segue i temporali. E all'interno dispone personaggi come su un palcoscenico. Più interessato all'allestimento che all'azione, li mette in scena come marionette senza un ruolo preciso, li riduce a semplici comparse necessarie a indicare geometrie. Non hanno età la piccola Helga, la Coppia al balcone, la Dama di picche, Rossana, Isabella, la Figlia di Saari, l'Uomo coi baffi, simbolo ripetuto della figura paterna. Albano li vorrebbe riuniti qui, nello studio di Grugliasco affacciato sul giardino, e contemporaneamente nello spazio magico che fu di Mastroianni e di Terzolo, in via Perrone a Torino, dove tiene corsi di pittura e ama conversare. E' il suo teatro, con le larghe assi dei vecchi palcoscenici, e l'incontro di colori drammatici, i rossi, i bianchi, i neri inquadrati dal lucernario. A volte la luna, d'accordo con i bagliori che salgono dalla strada, illumina il soffitto, e il resto sprofonda nel buio e nel silenzio. Allora gli piace ascoltare musica russa, sdraiarsi e pensare ai dipinti levigati d'incendi sulla neve, a palazzi di ghiaccio e fiamme di rubino. Finché il sonno non arriva scivolando lento.
di Maria Giulia Alemanno, articolo tratto da Torino Magazine, anno 8 numero 36, autunno 1995
di Maria Giulia Alemanno, articolo tratto da Torino Magazine, anno 8 numero 36, autunno 1995
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