I colori di Sergio Albano (parte I)


Premessa:

La tavolozza è ancora lì dove l'ha lasciata, su un vecchio cavalletto: in un barattolino di vetro c'é dell'olio di lino crudo, ormai completamente asciutto, una pinza stringe una lametta, adoperata per procedere diritto col pennello lungo i margini. Un paio di pennelli fini sono appoggiati sul bordo di un piattino da caffè, con impastoiati gli ultimi colori. Colori adoperati per ritoccare il prato verde di un grande paesaggio montuoso, l'ultimo soggetto da lui dipinto; il grigio ricorda i suoi cieli temporaleschi, mentre il verde é quello dei campi di segale, dei prati di erba altissima, di quelli che si stendono a perdita d'occhio. Nella contemplazione dell'opera, si resta bene a dare pace all'animo, una pace indescrivibile, legata ad un ideale di vita, più che ad aspetti trascendentali, quella inattingibile sete di pace e serenitá che solo la sua sua arte sa descrivere. La sua ultima opera, un quadro ad olio senza nome (100 x 100 cm) è simbolo di vita piena. Vita enigmatica.


Tutto il suo universo è racchiuso nel grigio di quella conformazione rocciosa e nel verde di quegli e altri steli che, come in molte altre opere, popolano un mondo emblematico e quasi sacrale; dove, all'arcaica potenza della natura e dei suoi elementi, corrisponde l'immensità e un silenzio che l'arginano, in una sorta di compostezza solenne. Molte sono le ragioni alla base di questo equilibrio, volto a rappresentare perlopiù un universo ideale, una terra di matematiche convergenze, di contrasti cromatici impressi da una pennellata disinvolta, ma invisibile. Fra queste, la necessità di usare la pittura come strumento per rendere il mistero della natura, dipingendo qualcosa che andasse oltre l'illustrazione figurativa, così come poteva scorgerlo intorno a sé.

Sambuchi
olio su tavola
cm 50 x 60
executed in 1997

Questa mattina - scrive sui suoi appunti il 20 marzo 1978, giorno della Domenica delle Palme - sono andato al Colle dell'Eremita, c'era ancora la neve. Il vento faceva tremare le betulle e portava nuvole grigie. Dal paese veniva un suono di campane. Fa freddo, ma i prati sono verdi e compaiono i primi fiori.  Così, a tutto quello che può scorgere in essa, si sforza di dare forma e colore, facendo sì che il mistero abbia un odore e un sapore, che sia "a portata dei sensi", travalicando i confini della percezione visiva con l'inebriante odore di erba estiva, accarezzata dal vento o luccicante di guazza; riuscendo quasi a far percepire l'aria pungente e fredda sospesa sulla neve, ora tinta di azzurro dalle ombre della sera, ora inviolata, perfetta come smalto sotto il cielo di un blu oltremare. Il silenzio di un lago ghiacciato o di un campo fresco di aratura, dai toni scuri, pervade l'animo con un senso di terrestre religiosità; laddove un San Francesco "come estratto da una cava" (Vittorio Sgarbi) riceve le piaghe, la presenza umana è messa in secondo piano, ma la terra di Sergio, anch'essa perennemente segnata, sembra incarnare potenti spiriti, emersi per eliminare i germi del male. In un sogno che pare realtà, una misteriosa forza scaturita dalle profonde viscere della Terra, ha levigato la roccia sino a imitare l'architettura con interi blocchi di montagne. Sul firmamento non vi nuota più una nuvola, nei boschi le fronde non disegnano più cose favolose con giochi di luce ed ombra, il sole si è arrampicato, tingendo di toni caldi le grandi rocce rendendole simili a dimore ultraterrene.


                                                                         Miniera abbandonata
                                                                                olio su tavola
                                                                              100 x 100 cm
                                                                             executed in 2006

Nel teatro immobile della notte, sovente ipersonaggi dei quadri di Sergio sono fermi, bloccati in passi di danza, ora inquietanti, ora ironiche e misteriose, a cui non può sottrarsi. Questa tensione drammatica è specchio del suo mondo - seconda grande necessità posta a guida del processo creativo, è molto evidente laddove predomina appunto la figura umana. E, in questo senso, ciò che Sergio Albano vuole ottenere lo ottiene quando applica il colore, conferendo ai paesaggi, alle architetture e ai personaggi un aspetto trasfigurato, che non si offrirebbe come tale nella realtà, dando l'idea di aver colto il soggetto nella sua immutabile esistenza.

Questo potrà sembrare scontanto, ma per lui é fatto chiaro:

Il contenuto dell'opera d'arte non deve essere illustrato figurativamente, altrimenti un cade nella letteratura. Essa può ritenersi tale solo quando il contenuto traspare dalla disposizione di una forma, dalla campitura di un colore, da un accostamento di toni; il loro variare, la loro intensità, tutte queste cose debbono rivelare l'intenzione dell'artista, perché egli deve applicare la sua intenzione attraverso la sola materia

Rossana
olio su tavola
80 x 52 cm
executed in 1985

Grazie all'uso del colore la drammaticità dei personaggi e della natura è enfatizzata o smorzata, a seconda dei casi; così le dita di  una donna composta e algida tradiscono una certa tensione nervosa, un bosco profondo e verde, al limitare di campi assolati, sembra incunearsi con potenza nella collina terrosa. I volumi architettonici acquistano una determinata importanza in base all'uso dei colori, sì da trasmettere sensazioni di libertà assoluta o di pesantezza e isolamento.
L'aspetto che voglio però indagare va ben oltre quest'infarinatura di partenza, più "emotiva" che tecnica; infatti nel corso di questa chiacchierata a puntate, parlerò dell'uso del colore secondo Sergio. La sua è una pittura basata sul disegno, che trae ispirazione dal suo continuo indagare la natura, dove il colore ha un suo ruolo decisivo, capace di suggerire un mondo ideale, trasfigurato.

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